Il Fatto del mese
International Laundromat
(do you know Igor Putin?)
La notizia dell’arresto del governatore della Banca di Lettonia è stata liquidata in poche righe dai media italiani. Un caso di corruzione fra i tanti, appena degno di menzione (o poco più), giusto per l’importanza della carica istituzionale; non fosse altro perché il signor Rimsevics è anche consigliere della BCE guidata da Mario Draghi.
Ma dietro la notizia, come per la proverbiale punta dell’iceberg, si celava quello che è stato definito “il più grande e più articolato sistema di riciclaggio di denaro sporco ( “money-laundering”)” del mondo.
E non è finita qui: il quadro che emerge dall’inchiesta nel mondo finanziario,condotta dall’inglese “Guardian”,smonta pezzo per pezzo ogni scenario possibile immaginabile di Guerra Fredda, uno scenario che ci vendono da anni, e che stanno rilanciando in maniera grottesca in questi giorni.
Prima con la storia dell’ex agente russo Skripal avvelenato, e l’espulsione di decine di diplomatici russi decretata dal Regno Unito, e, a ruota, da gran parte dei paesi europei (buon ultima l’Italia).
Poi con il demenziale tweet di Donald Trump sui missili “belli, nuovi e intelligenti” pronti a colpire in Siria per punire Assad, con la Russia che minaccia ritorsioni, e l’Europa che si chiede se siamo sull’orlo di una guerra totale.
Infine, con l’attacco a tre (USA, Regno Unito, Francia) ad alcune basi siriane, attacco ampiamente e preventivamente annunciato al Cremlino.
Ma provate un po’ a seguire la storia chiamata “Global Laundromat” o anche “Russian Laundromat”, e poi pensate, appunto, agli scenari di guerra planetaria: è come essere immersi in una fiction, una serie televisiva, con conseguenze reali solo per i poveri cittadini, quelli che si trovano sotto le bombe, e quelli che le bombe le finanziano a loro insaputa. Dietro si nasconde tutt’altro.
L’inchiesta è partita da “Novaya Gazeta”, il coraggioso periodico russo per cui lavoravano Anna Politkovskaja (che indagava sui crimini dell’esercito russo in Cecenia), Anastasia Boburova (inchiesta sui gruppi neonazisti russi) e Natalia Estemirova (violazione dei diritti umani in Cecenia), giornaliste indomite uccise dal regime, perché scomode. Come Dafne Vella Caruana Galizia a Malta, come Jan Kuciak in Slovacchia. Il giornalismo d’inchiesta non conosce confini, e si è organizzato da tempo con consorzi internazionali e collaborazioni in tutto il pianeta; in questo caso l’ OCCRP (Organized Crime and Corruption Reporting Project), che ha lavorato anche con l’ICJ, il consorzio di giornalisti che ha svelato i “Panama Papers”.
Ripartiamo dal governatore della Banca di Lettonia; l’accusa di corruzione riguardava una tangente presa da una banca lettone per omettere controlli su finanziamenti illeciti: la banca avrebbe fatto arrivare soldi al regime di Kim Jong Un in Corea del Nord, aggirando le sanzioni, secondo un’accusa partita dal Tesoro americano.
Questa è la punta dell’iceberg, appunto. Raccontata così, non si vede e non si capisce nulla. Perché le banche lettoni, che il signor Rimsevics dovrebbe conoscere bene (e un po’ anche Mario Draghi), sono specializzate da anni nell’accettare denaro russo senza farsi troppe domande: il 40 per cento del PIL lettone è finanziario, e il tesoro di capitali esteri custoditi nelle banche di Riga è in gran parte di origine russa; e sembra denaro molto, molto sporco.
Quindi, istantanea numero uno della geopolitica mondiale: la Lettonia che grida “al lupo al lupo” fin dall’indipendenza (1991), paventando in continuazione un’aggressione russa, e quindi chiedendo alla NATO di stipare soldati,carri armati e missili ai confini orientali dell’Unione Europea, ricicla alla grande i rubli di Mosca.Il signor Rimsevics, se decidesse di parlare, potrebbe dire sorridendo: “Così fan tutti”. E avrebbe perfettamente ragione.
Perché alla fine la Lettonia è solo una via di transito dei capitali sporchi provenienti dalla Russia. Anzi, un trampolino di lancio. Da lì, già “lavati”, i soldi finiscono in tutto il mondo, ed in particolare nella più grande piazza finanziaria d’Europa: Londra.
Istantanea numero due della geopolitica: il Regno Unito è la vera patria finanziaria degli oligarchi vicini a Putin, della sua cricca politica, di funzionari e agenti tanto dell’ex KGB (come Putin) quanto dell’attuale FSB. Tutto questo con buona pace di Theresa May e Boris Johnson, il suo ministro degli esteri (nonché ex sindaco di Londra, cioè della City), arrivato a dichiarazioni antirusse che non si sentivano dai tempi di Reagan e dell’Unione Sovietica come “Impero del Male” (chiaro riferimento hollywoodiano: probabilmente la “fiction” era già cominciata allora e noi non lo sospettavamo minimamente).
Occhio alle cifre, ai dati.Parliamo di 20 miliardi di dollari sicuri, e ben 80 miliardi stimati, solo dal 2010 al 2014; 70mila operazioni finanziarie, portate avanti da 19 banche russe e 732 banche in 96 paesi del mondo, a beneficio di 5.140 imprese. Fra le persone coinvolte, oltre 500 cittadini russi, molti dei quali pregiudicati o noti per l’attività criminali, quasi tutti con stretti legami con il governo, le grandi compagnie di Stato, i servizi segreti, l’esercito, le banche. Un nome per tutti: Igor Putin.
Igor Putin, classe ’53, è il cugino del leader russo, il grande Vladimir. Figlio di un ufficiale sovietico, è stato militare a sua volta (i Putin sono una famiglia con le stellette da due generazioni). Lascia l’esercito nel 1998, a 45 anni, prende un master in economia, e si dà all’attività bancaria, proprio mentre il cugino Vladimir diventa presidente della Russia. E’ considerato uno degli architetti del “Russian Laundromat”, insieme ad uno spregiudicato imprenditore moldavo di origine russa. Lo schema base del riciclaggio funzionava così: una società moldava prendeva un grosso prestito da una società fittizia. Il prestito era garantito ufficialmente da una banca russa. L’azienda fittizia falliva, e i giudici moldavi , opportunamente corrotti, obbligavano con una sentenza la banca russa ad onorare il debito: i soldi sporchi entravano ripuliti in un altro paese, associato all’Unione Europea. Da qui prendevano la via della Lettonia; e dalla Lettonia finivano in gran parte a Londra; ma anche i tutto il resto del mondo. L’elenco della banche è pazzesco: ci sono le britanniche HSBC,Barclays, Royal Bank of Scotland, i Lloyds di Londra; ma c’è anche la Citibank americana, tanto quanto la mitica Wells Fargo, la solita, immancabile JP Morgan e perfino Bank of America. C’è la teutonica Deutsche Bank, e la “comunista” Bank of China. Ci sono banche svedesi e danesi (che passavano per l’Estonia). I soldi sono arrivati in tutto il mondo, perfino in Nuova Zelanda.
Istantanea geopolitica numero tre:fra i paesi dove finiva il flusso di denaro sporco russo ci sono gli Emirati Arabi Uniti, attraverso la banca NBDe undici società fantasma (“shell companies”). Gli Emirati Arabi, con l’alleata Arabia Saudita, finanziano le fazioni “jihadiste” in Siria, cioè gli acerrimi nemici di Assad, beccato, attraverso un parente, nei “Panama Papers”.
Come si vede, la guerra è solo la prosecuzione del business con altri mezzi, in un’ottica che ricalca le guerre di mafia: a volte prevale l’accordo, altre ci si contrasta senza pietà (per i popoli).
Nel frattempo, i media ci raccontano una storia completamente diversa.E questo vale anche per molte fonti che si ritengono “alternative”, di destra e di sinistra; quelle che vedono nella Russia di Putin una sorta di contropotere europeo, patriottico, rispetto agli Stati Uniti; o addirittura una specie di freno di memoria “comunista” al rapace capitalismo occidentale. Questa seconda versione è ancora più ridicola, come spiega Thomas Piketty, nell’articolo “Il tesoro nascosto della Russia”. Se è vero, scrive Piketty, che il reddito pro capite russo è notevolmente risalito dai tempi disgraziati di Eltsin, cioè dal decennio seguito al crollo dell’Unione Sovietica (1991), è anche vero che “dal 2001 l’aliquota d’imposta è del 13 per cento (una fantastica “flat tax” N.d.A.) su qualunque livello di reddito, che si tratti di mille rubli o di cento miliardi di rubli. Né Reagan, né Margaret Thatcher sono arrivati a questo livello nello smantellamento della progressività impositiva”. E in Russia, come nella Cina “comunista”, non esiste tassa di successione. Le famiglie degli oligarchi, la cricca del “cerchio magico” di Putin, i boss mafiosi possono dormire sonno tranquilli. E infatti Russia e Cina sono fra i paesi più diseguali del mondo. Niente di strano: “business as usual”. Ma la Russia, spiega, ancora Piketty, ha la caratteristica di avere un fortissimo avanzo commerciale (esporta molto più di quanto importa);però le riserve ufficiali non risultano essere corrispondenti a quell’attivo: da un calcolo globale, mancherebbe all’appello un valore pari al 75 per cento del PIL. Tutto denaro finito all’estero, nei ricchi paesi occidentali. Il che non vale solo per la Russia, ovviamente.
La conclusione, amara, che ne trae Drew Sullivan, giornalista che ha fondatol’ OCCRP, è la seguente:“Un trilione (mille miliardi N.d.A.) di dollari scorre ogni anno dai paesi poveri ai paesi ricchi. Sono soldi che potrebbero alleviare la povertà, costruire infrastrutture. Invece è denaro che se ne sta in costosissime proprietà immobiliari e investimenti vari a Londra e a New York”.
Non veniteci a parlare di Guerra Fredda, per favore.
Cesare Sangalli