Il Fatto del mese

 

La mafia è una montagna di carta


La notizia sostanzialmente rimossa dai principali media (che per questo diventa fatto del mese) è il rinvio a giudizio per concorso esterno in associazione mafiosa di Mario Ciancio Sanfilippo.
Mario Ciancio Sanfilippo, chi era costui? I giornalisti dovrebbero conoscerlo bene, i lettori probabilmente un po’ meno (a meno che non siano siciliani). Catanese, classe 1932, Mario Ciancio Sanfilippo potrebbe essere un personaggio del “Gattopardo” di Tomasi di Lampedusa.: figlio dei baroni Ciancio, nobiltà etnea, e nipote di Domenico Sanfilippo, fondatore del quotidiano “La Sicilia” (1945) , il giovane Mario si laurea in giurisprudenza, proprio sul diritto ereditario, lui che già possiede uno splendido agrumeto di 200 ettari. Potrebbe vivere di rendita, o provare a diventare notaio come il padre. Ma lo zio lo avvia invece al giornalismo, la vera passione del baronetto (insieme agli affari).
Diventa direttore del quotidiano nel 1967, a 35 anni. E’ solo l’inizio di una magnifica, inarrestabile carriera. Ciancio Sanfilippo, caso piuttosto raro,  nel giro di pochi anni diventa editore del giornale che dirige. Poi inizia a costruire il suo impero nel campo dei mass media:  radio e tv private (è grande amico di Pippo Baudo), agenzie pubblicitarie, tipografie, ditte di distribuzione dei giornali. In pochi anni diventa monopolista dei media di Catania, e poi padrone editoriale di mezza Sicilia. Ma descriverlo soltanto come un potente notabile siciliano sarebbe assai riduttivo. Mario Ciancio Sanfilippo è azionista del gruppo “L’Espresso”, ha quote in Telecom, Tiscali, MTV e La7, è stato nel CdA dell’ANSA, e ha presieduto la FIEG , la federazione degli editori di giornali, per cinque anni, dal 1996 al 2001.
Insomma, conosce tutti e tutti lo conoscono, anche perché investe nell’edilizia, nell’agricoltura, nella grande distribuzione. Si infila negli appalti, contratta piani regolatori, gestisce potere. E soprattutto, garantisce coperture mediatiche a prova di bomba. Per Ciancio, per “La Sicilia”, per le tv e le radio del suo gruppo, la mafia a Catania non esiste. I suoi cronisti arrivano a livelli grotteschi di omertà: a fronte dell’evidenza più solare, preferiscono parlare di “noto boss” piuttosto che fare il nome del ras mafioso di Catania, Nitto Santapaola.  Sono talmente zelanti nel fare finta “che va tutto per il meglio nel migliore del mondi possibili”, che arrivano a non pubblicare il necrologio della famiglia del commissario Montana, trucidato nel 1982: “La famiglia, con rabbioso rimpianto, ricorda  alla collettività il sacrificio di Beppe Montana, commissario di Pubblica Sicurezza,  rinnovando ogni disprezzo alla mafia e ai suoi anonimi sostenitori”.
Messaggio attualissimo anche oggi, da estendere a tutta l’Italia, non solo all’isola che si appresta alle elezioni regionali, elezioni che forse anticiperanno il modello nazionale (è già successo altre volte). Sono tanti, infatti gli “anonimi sostenitori della mafia”. Quelli che popolano la vasta zona grigia (che poi diventa subito nera) delle collusioni, delle alleanze, delle reciproche convenienze, dell’impunità diffusa. Sono loro, il Terzo Livello, o il “Mondo di Sopra”, per dirla in stile Carminati, “er cecato”, il settore strategico senza il quale la mafia resterebbe una bassa questione di bande criminali. Per loro è stato creato il reato di “concorso esterno in associazione mafiosa”. E poi c’è una pletora di fiancheggiatori, spesso nemmeno anonimi, visto che si tratta di personaggi pubblici: magistrati, politici, giornalisti, funzionari, docenti universitari, primari, imprenditori e molti altri. E’ il cerchio più largo, quello che è sanzionabile almeno moralmente e politicamente o professionalmente.
Per esempio, così torniamo a Mario Ciancio, gente come Enzo Bianco, ineffabile sindaco di Catania per il centrosinistra, nonché ex ministro dell’Interno (governi D’Alema e Amato).  In nome del solito “sviluppo”, e di un po’ di posti di lavoro, il sindaco Bianco concepisce insieme all’editore/imprenditore un mega progetto di espansione verso Catania Sud, una colata di cemento sul litorale catanese (“La Playa”), dopo opportuna variazione dei terreni, da agricoli ad abitativi, ovviamente posseduti per un terzo dallo stesso Ciancio; una enorme speculazione (si prevede perfino un Acquario “grande come quello di Genova”) che deve essere realizzata dalla “Stella Polare”, società di cui è prominente azionista, provate ad indovinare, Mario Ciancio Sanfilippo, che sarà l’unica ditta a presentare un progetto per l’assegnazione dei lavori.
Attenzione: fra una giunta e l’altra di Enzo Bianco (rieletto per la quarta volta nel 2013), c’è stato l’intermezzo di centrodestra (sindaco Stancanelli), in assoluta continuità, rispetto al progetto: Ciancio (e Bianco) hanno avuto l’idea, Stancanelli e la maggioranza di centrodestra la approvano,  il centrosinistra di ritorno passa all’attuazione.  Tanto l’establishment è più o meno lo stesso, la casacca politica conta davvero poco.
La migliore dimostrazione dell’approccio bipartisan della mafia sta nella biografia degli attuali consiglieri: fra imparentati con i boss, prescritti, indagati per voto di scambio, o beccati in affettuose relazioni con personaggi noti alla questura, insomma, con vari tipi di “relazioni pericolose”, si contano rappresentanti della maggioranza e dell’opposizione, del PD, del PDL e delle liste civiche, compreso “Il Megafono”, la lista del governatore siciliano Crocetta (che pure ha fatto molte cose buone, per il risanamento della Sicilia, e per questo non verrà ricandidato): da Lorenzo Leone, fratello di un esattore di pizzo del clan Santapaola, parentela ovviamente dimenticata nell’autocertificazione antimafia (!),  a Erika Marco, col padre prescritto per accuse di corruzione e di infiltrazioni mafiose, passando per i consiglieri Pellegrino, Spataro, Giuffrida, Petrina, Porto, Merenda (quelli citati da “Meridionews”).
“Mario Ciancio è stato per 40 anni il rappresentante dell’impunità del potere. E’ stato il garante di tutti, dai politici ai magistrati, dagli imprenditori ai giornalisti”. Non usa perifrasi, da giornalista qual è, Claudio Fava, vicepresidente della Commissione Antimafia presieduta da Rosy Bindi, e figlio di Pippo, giornalista fondatore de “I Siciliani”, ucciso dalla mafia il 5 gennaio del 1984 (fra poco uscirà il film sulla sua storia, “Prima che la notte”, di Daniele Vicari). Sono tanti, i giornalisti siciliani, da Peppino Impastato a Mauro Rostagno, che hanno pagato con la vita il coraggio di chiamare le cose con il loro nome.
Tutto il contrario dello stile “pirandelliano” con cui la giudice di Cassazione, Gaetana Bernabò Di Stefano, aveva motivato due anni fa il proscioglimento lo stesso Ciancio, un capolavoro del paradosso: da un lato, secondo la giudice, la lunghissima serie di affari conclusi e vantaggi personali acquisiti dall’editore catanese descritta dai PM, che copriva un arco di 40 anni, faceva intendere che il “concorso esterno” fosse troppo poco, e che ci fosse una partecipazione organica, con funzioni direttive, all’organizzazione criminale dello stesso Ciancio; dall’altro però non c’erano elementi probatori per sostenerlo.
Insomma, si allungava la serie dei fini giuristi che giudicano il reato di “associazione esterna” fumoso e difficilmente applicabile, o degli ipergarantisti pelosi che addirittura lo vedono come un’ aberrante invenzione dei magistrati (a partire da Falcone) che perseguita brave persone. Vanno insieme a chi ha oscurato il processo sulla trattativa Stato-Mafia, il più occultato di Italia con quello del G8 di Genova. Sono della stessa risma di chi continua a sostenere (da Giuliano Ferrara a Filippo Facci, passando per molti commentatori dei “giornaloni”) che la trattativa è solo un teorema campato in aria, sono tutte fantasie di pubblici ministeri che vogliono far parlare di sé, di “professionisti dell’antimafia”  (l’insinuazione che colpì Falcone e Borsellino, non dimentichiamolo mai).
Gli “anonimi sostenitori della mafia” sono tanti, e in molti casi, lo abbiamo appena visto,  non sono anonimi per nulla. Il capitolo mafia, a livello politico, è stato completamente rimosso, a 25 anni dalle stragi di Capaci e Via D’Amelio  La zona grigia, il Terzo livello fin dai tempi di Andreotti, vero “dominus” della politica collusa con la mafia, emblema storico del “concorso esterno”, è ancora tutta lì, da Berlusconi a Casini, da Mastella a Mannino, da Lombardo a Miccichè, da Schifani ad Alfano,  con il ritorno, in punta di piedi, perfino di Totò Cuffaro, fresco avanzo delle patrie galere.
La Sicilia va al voto a novembre. E l’Italia seguirà nel 2018, con tutti questi signori (e molti altri) ancora in “pole position”. Il conflitto di interesse nel settore dei media, come in tutti gli altri settori (tipo Stefania Prestigiacomo petroliera all’Ambiente, hanno appena sequestrato ad Augusta due raffinerie da lei approvate a suo tempo) è stato dimenticato, come gran parte delle cose importanti in questi anni sprecati di apparente post-berlusconismo.
Lo scenario, nella complicatissima Sicilia dei doppi giochi e delle sottigliezze, appare chiarissimo: il Movimento 5 Stelle ha già la sua proposta, solare, e il suo candidato (Cancelleri). Centrodestra e centrosinistra fanno a gara a chi riesce ad imbarcare Angelino Alfano (!).  Vediamo se la voglia di cambiamento espressa cinque anni fa con il voto a Crocetta è già stata superata. Di sicuro, il giudizio degli elettori arriverà prima di quello dei tribunali, per stabilire la mafiosità di Mario Ciancio Sanfilippo e della sua montagna di carta.

                                                                                                

Cesare Sangalli